Nel corridoio d'accesso al settore femminile delle Terme Stabiane un'iscrizione celebrava una rilevante somma di denaro vinta ai dadi nella città di Nocera: "...855 denarii e mezzo, e senza barare".
CIL IV 2119
La somma vinta risulta veramente notevole, ove si consideri i prezzi correnti dei beni di prima necessità.
Il gioco d'azzardo era effettuato essenzialmente con i dadi (tesserae), simili a quelli che ancora oggi vengono da noi utilizzati, o con gli astragali (tali), ricavati da ossa animali, che avevano invece di sei solo quattro facce.
Essi venivano lanciati in numero di tre o anche di due, facendoli cadere da un bussolotto (fritillus) per evitare possibili manipolazioni.
Ai dadi si perdevano fortune incredibili, come le fonti ricordano, sì che il gioco era fortemente limitato da disposizioni di legge, che peraltro dovevano rimanere nella pratica alquanto inosservate, se pure gli imperatori non si sottraevano al loro fascino.
Sappiamo infatti che Augusto perse in una partita ventimila sesterzi e che Nerone ad ogni colpo di dado puntava non meno di quattrocento sesterzi.
I dadi sono stati rinvenuti in moltissimi esemplari, nelle città vesuviane e altrove, a chiara dimostrazione della popolarità che il gioco d'azzardo godeva, ampiamente testimoniato dalle fonti.
Troviamo anzi il fritillus quale insegna di bische, mentre non mancano raffigurazioni anche sapide di giocatori di osteria intenti al gioco dei dadi, talora accapigliandosi, come nel quadretto dipinto nella caupona VI 14, 36.
I dadi erano poi il complemento di giochi anche di abilità, generalmente condotti su un apposito piano, la tabula lusoria, corrispondente alla nostra scacchiera.
In tal modo i giocatori dovevano necessariamente contemperare il calcolo strategico con l'alea.
Sono stati anche rinvenuti dadi truccati, ossia in grado di essere appesantiti all'interno su una faccia con del piombo, in modo che venisse favorita l'uscita di un numero.
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